Sono in molti a chiedersi se i messaggi WhatsApp e gli sms possono essere usati come prove documentali. In un video pubblicato su Instagram viene fatta chiarezza: basta continuare a leggere per saperne di più.
Tra le app maggiormente utilizzate dagli utenti (compresi quelli italiani) c’è sicuramente WhatsApp. Pensare a una chiacchierata online con qualche amico, con un familiare, con il proprio o la propria partner o con qualche collega di lavoro fa venire subito in mente l’app verde con tutte le sue straordinarie funzionalità. Solitamente nelle chat di WhatsApp ci si dice proprio tutto, a volte anche con più franchezza rispetto alle occasioni dal vivo. Tuttavia ogni tanto sorge sempre il solito dubbio: i messaggi su WhatsApp, così come gli sms, possono essere utilizzati come prove? Cosa dice esattamente la legge?
L’avvocata Alice Passacqua ha provato a fare chiarezza con un video pubblicato sulla sua pagina Instagram (dove è seguita da oltre 124.000 follower). Nel filmato la legale ricorda che la Cassazione, con la sentenza n.12633 del 2024, ribadisce che la riproduzione fotografica dell’sms o del messaggio WhatsApp è legittima e può essere utilizzata in giudizio come prova documentale.
Per essere più precisi, nella sentenza viene chiarito che i messaggi WhatsApp e gli sms conservati all’interno della memoria di un telefono cellulare possono appunto fungere da documenti. La loro acquisizione mediante la mera riproduzione fotografica è considerata legittima.
In questi casi, infatti, non si applica né la disciplina delle intercettazioni né tantomeno quella che fa riferimento all’acquisizione di corrispondenza. La sentenza della Cassazione chiarisce quindi che in casi come questo non ci si trova di fronte alla captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma solo della “mera documentazione ex post di detti flussi“.
Ecco perché bisogna sempre stare molto attenti a ciò che si scrive su WhatsApp o tramite sms. Il rischio è di incappare in conseguenze molto serie, anche se solo sul piano civile. Per fare in modo che un insulto sull’app verde diventi reato devono sussistere due condizioni.
La prima riguarda ovviamente il contenuto dell’insulto, ovvero stabilire se siamo di fronte a una semplice critica o se invece è stata attaccata la moralità, la professionalità e l’integrità dell’altra persona. La seconda, invece, è stabilire se si tratta di ingiuria o diffamazione: nel secondo caso si configura il reato.
Nel caso delle chat di gruppo, sempre secondo quanto stabilito dalla Cassazione in passato, bisogna appurare se la parte offesa è online nel momento in cui viene inviato il messaggio insultante. L’ingiuria, infatti, si verifica in ‘presenza’ della vittima, mentre la diffamazione viene diffusa nei confronti di terzi.
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