Dispetti e insulti sui social network: ecco quando si configura il reato di stalking
Negli ultimi anni sempre più pronunce della Corte di Cassazione hanno avuto come “oggetto” il mondo dei social network, un luogo dove si consumano molti reati che vanno dalla diffamazione allo stalking vero e proprio. Una recente sentenza emessa proprio dagli ermellini ha riguardato in particolar modo la configurabilità del reato di “stalking” perpetrato attraverso l’uso dei social network.
I social network vengono impiegati molto spesso da persone senza scrupoli per commettere reati a vario titolo, alcuni dei quali davvero odiosi. Per quanto possa apparire banale anche la semplice pubblicazione di un commento su una bacheca Facebook può avere ripercussioni di natura penale.
L’ultima sentenza è imperniata sul contenuto dell’articolo 595 del codice penale, secondo il quale “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro”.
Nel 2009 il legislatore, al fine di dare una risposta concreta ad un fenomeno in preoccupante ascesa, ha deciso di integrare la normativa vigente aggiungendo il reato di atti persecutori. In virtù delle nuove disposizioni (art. 612-bis) vengono adesso punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni coloro che si prodigano in “condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Una sentenza del 2016 (la numero 21407) emessa dal Tribunale di Catania nei confronti di una persona imputata proprio per il reato di cui all’art. 612-bis c.p, ha censurato proprio il comportamento di un soggetto che si è reso protagonista di atti persecutori attraverso i social network. I giudici del tribunale etneo, rifacendosi proprio ad una precedente pronuncia, hanno ribadito che “integra il delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa di telefonate, Sms e messaggi di posta elettronica, anche tramite i c.d. social network, nonché la divulgazione, attraverso questi ultimi, di filmati che ritraggono rapporti sessuali intrattenuti dall’autore del reato con la medesima vittima, procurandole così uno stato d’animo di profondo disagio e paura in conseguenza delle vessazioni patite”.
Una sentenza ancora più recente, ha stabilito che non occorre che la persona venga pedinata o che mandi messaggi continuamente per commettere il reato di stalking. Anche la condotta di chi cerca una persona attraverso amici o parenti o che addirittura pubblica in continuazione sul profilo social di quella persona dei post riferiti anche vagamente ad una persona specifica (anche attraverso riferimenti indiretti) configura il reato di stalking. Chi subisce questi trattamenti può sporgere querela, anche se non ricorrono i presupposti della diffamazione.
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