La sentenza riguarda una persona che ha offeso i carabinieri durante una perquisizione: ecco cosa ha deciso la Cassazione
Secondo una recente sentenza della Cassazione, offendere l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale costituisce reato punibile penalmente soltanto se le parole offensive vengono pronunciate in presenza di almeno due persone che devono essere in ogni caso estranee alla pubblica amministrazione. Non conta dunque la presenza di altri colleghi che assistono all’offesa nello svolgimento delle proprie funzioni poiché il requisito della pluralità di persone si integra soltanto se di questa pluralità fanno parte persone non presenti per lo stesso motivo d’ufficio.
La sentenza in questione è la n. 18834/2023 pronunciata dalla sesta sezione penale della Cassazione. Secondo gli Ermellini il reato non sussiste se i testimoni del fatto sono soltanto pubblici ufficiali poiché, si legge nello stesso dispositivo della sentenza, “in tema di oltraggio, l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente”.
Un’altra sentenza ha invece stabilito quando si può ritenere che le parole pronunciate verso il pubblico ufficiale possano essere ritenute realmente offensive. Queste parole devono essere considerate di uso comune, come ha specificato la sentenza del 26 giugno 2023, n. 27548 della Cassazione. Il caso in questione prende spunto da una causa che vedeva coinvolta una donna rea di oltraggio ad un pubblico ufficiale ex articolo 341-bis c.p., per avere offeso l’onore e il decoro di due assistenti di Polizia.
Gli assistenti erano intervenuti dopo essere stati sollecitati da altre persone, per rimuovere un mezzo da un parcheggio in area non consentita. La proprietaria del mezzo si è rivolta contro di loro pronunciando le seguenti fraci: “ma che cazzo* volete?… non rompetemi i coglioni*…”.
Secondo gli ermellini, tali espressioni (di uso comune) integrerebbero con certezza, il reato di offesa a pubblico ufficiale tenuto conto delle circostanze nelle quali sono state pronunciate e dell’astio utilizzato dalla donna, poiché inciderebbero in maniera piuttosto negativa sul consenso e la credibilità ogni pubblico ufficiale deve avere per far valere il proprio ruolo nella società.
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