Con una sentenza, la Cassazione ha dato ragione ad un cliente di una banca che si è rifiutato di prestare il consenso ai dati personali: i dettagli
Quante volte ci siamo trovati davanti all’enigma se barrare o meno la casella dell’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Ci siamo chiesti tante volte se barrarla o meno, per il timore di essere poi assediati dalle chiamate dei call center e dalla tediosa pratica della pubblicità aggressiva. Presi dalla foga di concludere un contratto, spesso, finiamo per barrare tutte le caselle riguardanti termini e condizioni del servizio, senza pensare alle conseguenze. Ma cosa succede realmente se non diamo il nostro consenso al trattamento dei dati personali?
Di questa questione è stata investita recentemente la Corte di Cassazione dopo che un cittadino, sentendosi privato dei propri diritti, ha deciso di fare causa all’istituto di credito che gli ha impedito l’apertura di un conto corrente dopo il suo rifiuto a firmare il consenso al trattamento dei dati personali.
In genere le aziende commerciali utilizzano i dati personali dei propri clienti, archiviandoli nei propri registri per poter eseguire la prestazione in maniera efficace. Per fare tutto questo c’è la necessità di attingere ai dati personali dei clienti che sono archiviati nei propri registri e che riguardano l’indirizzo di residenza, il numero telefonico e i dati anagrafici.
Anche la banca, quando eroga un mutuo, necessità della cessione dei dati alle società di recupero crediti qualora il debitore non pagasse puntualmente le rate e quindi ha bisogno di avere il consenso al trattamento dei dati personali. Anche Amazon per poter spedire un pacco, ha bisogno di attingere ai dati personali dei clienti che dovranno poi essere ceduti al corriere che effettua la consegna.
Detto questo, va precisato che questi dati che il cliente rilascia alle aziende non possono essere utilizzati ai fini di marketing pubblicitario, come ha avuto modo di spiegare la Cassazione nella propria sentenza. Per poter consentire che i dati rilasciati vengano utilizzati anche per scopi pubblicitari, il cliente deve barrare un doppio consenso.
Per chiarire questa questione, è intervenuto anche il Garante della privacy, che ha spiegato che la clausola relativa al trattamento dei dati per fini pubblicitari è diversa da quella del trattamento dati personali. Se per eseguire la prestazione, il cliente nega al professionista l’autorizzazione dei dati personali, il professionista può rifiutarsi di eseguire la prestazione. Ma se il consenso viene raccolto solo per finalità di marketing, il professionista non potrà opporsi all’esecuzione della prestazione, perchè l’autorizzazione a scopi pubblicitari non è connessa all’attività da svolgere.
I clienti, dunque, non devono abboccare quando l’esercente sostiene di avere bisogno di acquisire i dati del cliente per poter meglio gestire i rapporti con la clientela. Nessun contraente può essere obbligato a rilasciare il consenso senza che ciò corrisponda ad alcun bisogno da parte di chi deve eseguire la prestazione.
Nel caso in questione che è stato giudicato dalla Cassazione, l’istituto di credito aveva subordinato l’operatività del conto al rilascio del consenso al trattamento dei dati personali. Gli ermellini hanno ritenuto nulla quella clausola perchè l’hanno giudicato non pertinente e non indispensabile il rilascio dell’autorizzazione da parte del cliente per l’operatività del conto corrente. Pertanto ha dato ragione al ricorrente e torto alla banca. (Marco A. Tringali)
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