Perché non investiamo i pedoni, la spiegazione scientifica

Signora attraversa la strada a Roma
Perchè non investiamo i pedoni per strada? La spiegazione non è solo scientifica: ecco il motivo.

Scritto da

Andrea Rapisarda

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Perché non investiamo mai i pedoni per strada? La risposta non è solamente legata alla legge e la scienza: andiamo a vedere

Signora attraversa la strada
Signora attraversa la strada come i normali pedoni (credits @PrimoCanale) – pianetacellulare.it

Cosa ci frena dall’investire i pedoni quando siamo al volante? Anzitutto le norme di civiltà, che ovviamente ci frenano davanti al presunto desiderio di accelerare mentre passa davanti alla nostra macchina un pedone. Anche quando si tratta, per esempio, della persona antipatica del quartiere, qualcuno che vi ha creato tanti problemi o un’anziana nonnina che attraversa molto lentamente la strada… tutto mentre voi dovete entrare al lavoro.

Perché non investiamo i pedoni, le spiegazioni

Partiamo da un quesito fondamentale: investire una persona, come ucciderla, non è mai consentito. Tale scelta scellerata è condannata in primis dalla legge italiana, che proprio in questo periodo storico ha inasprito quelle che sono le condanne inerenti all’omicidio stradale. Oltre alle regole della buona convivenza, seguendo le leggi vigenti nel Paese, c’è sono anche dinamiche legate alla dimensione neuromotoria che ci frenano, almeno in assenza di gravi patologie mentali, d’investire un pedone o uccidere una persona.

Donna attraversa la strada
Pedoni attraversano la strada (credits @SicurAuto) – pianetacellulare.it

La spiegazione neurologica

Partiamo da una teoria, peraltro appoggiata da tantissimi accademici nel corso degli anni: l’uomo è un animale sociale. Tale condizione, pone la persona come amichevole di natura e che istaura legami sociali per la propria sopravvivenza. Un discorso in controtendenza, se vediamo poi delle degenerazioni della società come le dinamiche legate ai conflitti o la criminalità, che però perseguono altri scopi meno nobili sul piano della società.

Tornando alla configurazione teorica, l’uomo non è portato istintivamente a uccidere un proprio simile. Tutto ciò al di là delle etnie o i riferimenti culturali dell’altra persone a cui dovrebbe togliere la vita. Una dimensione che, incredibilmente, abbiamo ereditato nel nostro patrimonio culturale da millenni, in una necessità di comunità per la sopravvivenza che addirittura fonda le proprie radici alle specie primitive dell’uomo.

In questa configurazione tecnica, tale comando è presente nel nostro cervello. Quasi in maniera innata, noi sappiamo che non dobbiamo uccidere un nostro simile e tantomeno mettere a repentaglio la nostra vita. Un blocco delle pulsioni che rimane vivo anche dal contesto culturale che viviamo, che attraverso il Sistema Triadico plasma quelli che saranno i nostri atteggiamenti fin dalla nascita. Dopotutto, la nostra mente è plasmata fin dall’inizio da tre elementi: il linguaggio, la cultura e l’ambiente circostante. A queste poi, vanno aggiunte degli elementi innati ed ereditati da millenni nel codice genetico della nostra specie.

Come si traduce questa condizione nella realtà? Un cervello che, senza complesse connessioni neurologiche, vi farà frenare davanti a una persona che attraversa. Stesso comando quando, paradossalmente, rischiate di farvi male o morire per un’azione: ci sarà sempre uno stato d’animo che, almeno in un primo momento, vi frenerà nell’azione (la mano nell’acqua calda per esempio). Il cervello quindi non è solo il motore con cui costruiamo le nostre giornate, ma anche un meccanismo di autodifesa per preservare la nostra sopravvivenza e quella della nostra specie.

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