Gli insulti ricevuti dagli haters sulle piattaforme di social media si potrebbero trasformare in una fonte di guadagno? A quanto pare, sì e tutto a norma di legge.
L’offesa di altri individui per mezzo dei social media può essere considerata come integrazione al reato di diffamazione, secondo la legge italiana. A seconda della gravità del caso la vittima può ricorrere contro il diffamatore ad una querela penale e/o ad una richiesta di risarcimento. Proprio quest’ultima sembra stia diventando una moda tra gli influencer come un modo per monetizzare, ossia guadagnare denaro. A spiegare come sia possibile tutto ciò è l’avvocato Angelo Greco, che in un video che ha condiviso tramite il suo canale YouTube spiega proprio come sia possibile fare soldi sfruttando gli insulti ricevuti dagli haters sulle piattaforme di social media.
Da qualche anno è diventato popolare il termine haters, entrato anche nel vocabolario Treccani per definire colui o colei che condivide online, in particolare sui social media, parole di odio e/o insulti nei confronti di altri individui. Gli haters spesso scrivono nei commenti dei post sui social rivolgendosi a chi lo ha scritto per esprimere la propria contrarietà ad un concetto non condiviso rischiando di arrivare a condividere parole pesanti che potrebbero portare alla diffamazione dell’individuo a cui le parole sono rivolte.
Si può guadagnare sfruttando gli insulti degli haters sui social?
Da quanto appreso, la persona che riceve una offesa sui social non può chiedere al presunto diffamatore un risarcimento per una semplice critica. Secondo la legge italiana, si può considerare diffamazione una critica denigratoria o che danneggia il proprio onore e la propria reputazione morale o professionale. Secondo la Cassazione, sono diverse le parole che potrebbero essere considerate come diffamatorie sui social, tra cui: maleducato, diabolico, cogl*ione, ebete, lec*a c*lo, viscido, str*nzo, testa di ca*zo, bimbo m*nchia e altre ancora. Interessante il fatto che non solo le parole possono considerarsi diffamatorie ma anche l’utilizzo di specifiche emoji. Nel 2022, la Cassazione ha stabilito che anche il body shaming (la presa in giro di una persona per il suo aspetto fisico, ndr) può considerarsi diffamazione.
Inoltre, un’offesa si può considerare diffamatoria se espressa di fronte a due o più persone e, nel caso dei social media, quasi sicuramente questo requisito viene soddisfatto. Altra considerazione è il fatto che non si può considerare diffamatoria un’offesa ‘in tempo reale’, ossia quando due persone si scambiano opinioni nello stesso momento: questa è ingiuria, che non è reato.
Nel momento in cui una persona presume di essere vittima di diffamazione può inviare al presunto hater una richiesta di risarcimento tramite diffida, meglio se facendo affidamento su un avvocato. Lo scopo della diffida è portare l’hater a pagare per evitare una possibile denuncia. Bisogna però essere sicuri dell’identità della persona, magari verificando le informazioni del suo profilo social. Se non si conosce l’identità dell’hater, invece, bisogna rivolgersi alla polizia postale e avviare un procedimento penale.
Per approfondire i dettagli passiamo la parola all’esperto
Dal momento che l’argomento è piuttosto complicato e ci sono molti termini ‘legali’ da tenere in considerazione, ma soprattutto gli step da seguire sono molteplici, vi lasciamo qui sotto alla visione del video dell’Avv. Angelo Greco in cui si spiega chiaramente come si potrebbero fare soldi sfruttando gli insulti sui social degli haters.