La legge non ammette favoritismi tra figli revocando determinati atti posti in essere in violazione del principio di parità di trattamento: cosa dice il Codice Civile
In genere tutti i genitori pensano che i figli debbano essere tutti uguali e quindi debbano essere trattati allo stesso modo, sia che si tratta di figli legittimi, che naturali o adottati. In determinati casi, però, può capitare che i genitori applichino ai rispettivi figli dei trattamenti diversi in relazione alle rispettive necessità e condizioni economiche.
Cosa prevede la normativa vigente
I figli più bisognosi, ad esempio quelli in cerca di lavoro o che fanno fatica a trovare una sistemazione e vivono ancora in famiglia, spesso sono oggetto di maggiori attenzioni e cure da parte dei genitori e quindi ricevono una quantità maggiore di sussidi. Si pensa ad esempio ai figli meno capaci o disabili che non sarebbero mai in grado di cavarsela autonomamente. La legge, però, in determinati casi non ammette favoritismi tra figli revocando determinati atti posti in essere in violazione del principio di parità di trattamento.
La legge può ammettere che l’affetto o l’amore genitoriale venga distribuito tra i figli in modo non omogeneo, ma non ammette che i favoritismi possano discriminare alcuni figli a vantaggio di altri sotto l’aspetto puramente economico. Solo nei confronti dei minori di età, sui genitori ricade l’obbligo della presenza fisica e del sostegno morale e psicologico. Ma la legge non fa differenza tra chi ha assistito la madre anziana e chi se n’è fregato, tra chi è stato più fortunato o capace e ha fatto carriera e chi è fallito ed è finito sul lastrico.
Il Codice civile non autorizza in ogni caso i favoritismi tra figli. Ecco perchè il diritto attribuisce ai figli il diritto di far valere la regola della parità di trattamento nel caso di disparità evidenti sul piano economico. Ogni figlio ha diritto ad una quota legittima dell’asse ereditario dei genitori, indipendentemente dal trattamento riservato ai genitori in vita.
L’azione di riduzione
Se una donazione dovesse ledere i diritti successori dei legittimari, il donatario potrebbe anche vedersi contestare la proprietà dei beni donati, ma solo entro 10 anni dall’apertura della successione.
In questo frangente di tempo, il diritto consente ai legittimari di agire per reintegrare la propria quota ereditaria attraverso l’azione di riduzione nei confronti del donatario. Se il bene da restituire è un immobile o un bene mobile registrato già ipotecato o per il quale è stato concesso dal donatario un diritto di usufrutto, qualora non siano ancora trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, i beni possono essere considerati liberi da ogni diritto e ipoteca, mentre se sono trascorsi più di 20 anni dalla trascrizione della donazione e la domanda di riduzione è stata proposta entro i 10 anni dall’apertura della successione, sul donatario incombe solo l’obbligo di compensare in denaro i legittimari.