I dipendenti di due Apple Store hanno scritto una lettera aperta all’amministratore delegato Tim Cook, per evidenziare un comportamento ritenuto umiliante e imbarazzate e nel frattempo hanno avviato una class action.
Tim Cook è apparso sorpreso da questo tipo di problema, tanto che secondo quanto riportato oltreoceano avrebbe inviato una email al proprio staff, chiedendo se tali informazioni fossero veritiere.
La questione riguarda i controlli che Apple esegue sugli effetti personali dei propri dipendenti che lavorano negli Apple Store; controlli che vengono eseguiti non solo al termine del turno di lavoro, ma anche ogni qualvolta un dipendente si allontani dal negozio, per esempio durante la pausa pranzo.
I dipendenti avrebbero avviato una class action per vedersi riconosciuto il tempo che la sicurezza di Apple impiega nelle perquisizioni, ritenendo che tale tempo vada almeno retribuito come fossero effettivamente impiegati al lavoro.
Una causa analoga aveva visto coinvolta Amazon, con sentenza a favore dei lavoratori. Inoltre, non è il primo caso riguardo Apple. Nel 2013, avevamo documentato una questione simile come riportato in questo articolo.
La perquisizione personale è molto diffusa negli Stati Uniti e rappresenta un problema culturale anacronistico.
Che rapporto di fiducia può esserci tra una società e il suo dipendente, se questo viene perquisito come fosse un ladro?
Ritengo che una società da oltre 50 miliardi di fatturato come Apple e un sistema di monitoraggio di magazzino ben organizzato, potrebbe tranquillamente fare a meno di questi controlli.
Non sarebbe difficile individuare eventuali furti da parte del personale.
Senza contare che l’enorme margine di Apple potrebbe benissimo ammortizzare qualche ammanco mentre eventuali furti di device come iPhone o iPad, potrebbero essere bloccati da remoto tramite codice Imei, rendendo totalmente inutile il furto degli stessi.